È quanto stabilito dalla Seconda Sezione Civile della Corte di Cassazione con la sentenza n. 22656 del 9.8.2024. La nullità prevista dall’art. 40 comma 2 della legge n. 47 del 1985, per i casi in cui nei contratti aventi ad oggetto edifici o loro parti non risultino gli estremi del titolo edilizio in forza del quale essi sono stati realizzati (licenza o concessione edilizia, ora sostituiti dal permesso di costruire, oppure concessione o permesso rilasciati in sanatoria) o, in alternativa, gli estremi della domanda presentata per il rilascio del titolo, è da ritenersi operante soltanto per i contratti traslativi di diritti reali e non invece per quei contratti ad effetti meramente obbligatori (come è appunto il preliminare). Già il dato letterale dello stesso articolo 40 induce a questa conclusione: si parla infatti di “atti tra vivi aventi per oggetto diritti reali relativi ad edifici o loro parti”.
I giudici del terzo grado hanno quindi ritenuto di dare continuità all’orientamento che si è andato consolidando negli ultimi anni nella stessa giurisprudenza di legittimità (vedi Cass. n. 6685 del 2019; Cass. n. 11653 del 2018; Cass. n. 21942 del 2017; Cass. n. 28456 del 2013), secondo cui la nullità prevista dalla legge in questione sarebbe una nullità testuale, rientrante nell’ambito di quelle previste dall’art. 1418 comma 3 c.c., e non invece una nullità sostanziale o virtuale, come aveva sostenuto un precedente orientamento giurisprudenziale ormai ritenuto superato. Di conseguenza, la menzione del titolo edilizio è necessaria soltanto nell’atto definitivo di trasferimento del diritto reale, mentre non è richiesta a pena di nullità nel contratto preliminare (anche se può comunque essere opportuno già inserirla in quella sede).