L’assegno di mantenimento per i figli decorre dalla data della domanda e, se successiva, dalla effettiva cessazione della coabitazione

La Corte di Cassazione torna sul tema della effettiva decorrenza dell’assegno di mantenimento dei figli. Si tratta di un problema molto sentito nella prassi e che, per questo motivo, arriva spesso sino alla corte suprema. Stabilire il momento in cui decorrere il pagamento ha rilevanti conseguenze economiche, considerata la durata media del relativo processo.
Lo spunto viene dato da una vicenda che vede aumentare, e non di poco, la misura del contributo paterno. Il punto, però, è che non è chiaro da quale momento l’aumento può essere preteso.
Terminata la convivenza, dalla cui unione era nato un figlio, la madre si rivolgeva al Tribunale dei Minorenni (allora competente) chiedendo che venisse ordinato al padre del bambino un contributo al mantenimento fissato in €. 2.000,00 al mese. Il Tribunale determinava il contributo in €. 520,71. La donna proponeva reclamo alla Corte d’Appello, che aumentava il contributo a €. 1.800,00. Ottenuto l’aumento, la donna agiva in via esecutiva per recuperare la differenza sulle mensilità pregresse (sul presupposto che l’aumento facesse data dalla prima richiesta). L’uomo opponeva il precetto (sul presupposto che l’aumento dovesse partire dal reclamo che aveva disposto l’aumento). Il Tribunale di Milano rigettava l’opposizione. Il padre ricorreva in appello. La Corte d’Appello di Milano, accogliendo il gravame, stabiliva che l’assegno di €. 1.800,00 dovesse decorrere dalla data di proposizione del reclamo e condannava la donna a restituire quanto percepito in eccedenza.
Ricorre la donna alla Corte di Cassazione che, con la sentenza n. 8816/20, depositata il 12.05.2020, accoglie le doglianze della madre e ribadisce alcuni principi della materia.
L’obbligo dei genitori di mantenere i propri figli in proporzione alle rispettive capacità lavorative, economiche e/o patrimoniali ex art. 148 c.c. (ora, più correttamente, 316bis c.c.) decorre dalla nascita del figlio. Per tali ragioni, in caso di successiva cessazione della convivenza, l’obbligo del genitore non affidatario decorre dalla effettiva cessazione della coabitazione, ma solo se questa è successiva alla domanda giudiziale. Infatti, il limite alla retroattività della statuizione è costituito dalla espressa domanda della parte.
Considerato, poi, che il reclamo alla corte d’appello conserva la natura di nuovo esame della prima istanza, “la decisione adottata all’esito del reclamo si sostituisce a quella del tribunale per i minorenni e produce effetti con la medesima decorrenza” e “in mancanza di specifiche statuizioni circa la decorrenza dell’obbligo di mantenimento statuito dalla corte d’appello, gli effetti della decisione retroagiscono alla data della domanda giudiziale.”
Il principio di diritto da utilizzare sarà, pertanto, il seguente: “La decisione del tribunale per i minorenni relativa all’obbligo di mantenimento, ai sensi dell’art. 148 c.c., del figlio naturale da parte del genitore non affidatario retroagisce naturalmente al momento della domanda giudiziale, oppure – se successiva -dall’effettiva cessazione della coabitazione, senza necessità di apposita statuizione sul punto. La decisione adottata dalla corte d’appello all’esito dell’eventuale reclamo si sostituisce a quella del tribunale per i minorenni e produce effetti con la medesima decorrenza”.