Le Sezioni Unite, con la sentenza n. 11748 del 03.05.2019, si pronunciano su un problema ricorrente nella prassi e relativo alla persona su cui, tra compratore e venditore, spetta il compito di provare l’esistenza ovvero l’inesistenza degli eventuali difetti riscontrati dopo l’acquisto.
Il “casus belli” lo offre l’acquisto di diversi oggetti in vetro, peraltro neppure di particolare valore economico.
Il venditore chiedeva e otteneva un decreto ingiuntivo, che veniva opposto dal compratore. Il Giudice di pace di Empoli rigettava l’opposizione e confermava il decreto ingiuntivo. Il Giudice, in sintesi, riteneva generica la denuncia dei vizi e, soprattutto, non provati i vizi contenuti nella denuncia.
Il Tribunale di Firenze, quale giudice dell’appello, dichiarava inammissibile l’appello nel frattempo proposto dal compratore soccombente in primo grado.
Il compratore non si dava per vinto e ricorreva per la cassazione della sentenza di primo grado. La Corte di Cassazione, suo malgrado rigetta il ricorso sulla base dei motivi che si vanno a esporre.
La Corte ricorda come il dubbio interpretativo sia stato introdotto dalla sentenza n. 20110 del 20.09.2013, che aveva ritenuto non giustificabile l’onere della prova in capo al compratore in base a quanto stabilito, sempre dalle Sezioni Unite, con la sentenza n. 13533/01.
La suddetta sentenza aveva enunciato un principio fondamentale in tema di adempimento contrattuale, risoluzione contrattuale e risarcimento danni da inadempimento contrattuale.
Questa è la massima: “In tema di prova dell’inadempimento di una obbligazione, il creditore che agisca per la risoluzione contrattuale, per il risarcimento del danno, ovvero per l’adempimento deve soltanto provare la fonte (negoziale o legale) del suo diritto ed il relativo termine di scadenza, limitandosi alla mera allegazione della circostanza dell’inadempimento della controparte, mentre il debitore convenuto è gravato dell’onere della prova del fatto estintivo dell’altrui pretesa, costituito dall’avvenuto adempimento, ed eguale criterio di riparto dell’onere della prova deve ritenersi applicabile al caso in cui il debitore convenuto per l’adempimento, la risoluzione o il risarcimento del danno si avvalga dell’eccezione di inadempimento ex art. 1460 (risultando, in tal caso, invertiti i ruoli delle parti in lite, poiché il debitore eccipiente si limiterà ad allegare l’altrui inadempimento, ed il creditore agente dovrà dimostrare il proprio adempimento, ovvero la non ancora intervenuta scadenza dell’obbligazione). Anche nel caso in cui sia dedotto non l’inadempimento dell’obbligazione, ma il suo inesatto adempimento, al creditore istante sarà sufficiente la mera allegazione dell’inesattezza dell’adempimento (per violazione di doveri accessori, come quello di informazione, ovvero per mancata osservanza dell’obbligo di diligenza, o per difformità quantitative o qualitative dei beni), gravando ancora una volta sul debitore l’onere di dimostrare l’avvenuto, esatto adempimento. (Nell’affermare il principio di diritto che precede, le SS.UU. della Corte hanno ulteriormente precisato che esso trova un limite nell’ipotesi di inadempimento delle obbligazioni negative, nel qual caso la prova dell’inadempimento stesso è sempre a carico del creditore, anche nel caso in cui agisca per l’adempimento e non per la risoluzione o il risarcimento).”
Partendo da queste premesse, la suddetta sentenza n. 20110/2013 deduceva che il compratore avrebbe dovuto limitarsi a provare il contratto e a denunciare l’esistenza dei vizi. Sarebbe stato il venditore a dover provare l’esatto adempimento e, cioè, l’assenza di vizi e difetti.
Le sentenze successive della Corte di Cassazione non si uniformavano ad alcuno dei due principi. Da qui l’intervento delle Sezioni Unite chiamate a dirimere il contrasto interpretativo.
La Corte comincia il proprio ragionamento dall’analisi dell’articolo 1476 c.c. del codice civile, che così dispone: Le obbligazioni principali del venditore sono: 1) quella di consegnare la cosa al compratore; 2) quella di fargli acquistare la proprietà della cosa o il diritto, se l’acquisto non è effetto immediato del contratto; 3) quella di garantire il compratore dall’evizione e dai vizi della cosa.
Da un attenta lettura della norma, la Corte deduce che l’obbligazione tipica del compratore è quella della consegna della cosa dedotta in contratto. La norma non pone, invece, a carico del venditore l’obbligo alla immunità della cosa da vizi. Il venditore, quindi, non assume alcun obbligo circa i “modi di essere attuali della cosa”. La garanzia per vizi indica solamente l’assoggettamento ai rimedi in cui si sostanzia la garanzia e, quindi, all’iniziativa del compratore intesa alla modificazione del contratto mediante l’azione finalizzata alla riduzione del prezzo ovvero alla risoluzione del contratto.
“La garanzia per vizi non va, dunque, collocata nella prospettiva obbligatoria e la responsabilità che essa pone in capo al venditore va qualificata come una responsabilità contrattuale speciale, interamente disciplinata dalle norme dettate sulla vendita … essa si traduce nella soggezione del venditore all’esercizio dei due rimedi edilizi di cui può avvalersi il compratore …”.
Da questa conclusione consegue che il criterio di riparto dell’onere della prova non può essere compreso nell’ambito di applicazione della sentenza SSUU n. 13533/01, essendo l’obbligazione adempiuta interamente con la consegna della cosa.
Il criterio, invece, va cercato nella norma generale di cui all’art. 2967 c.c. per cui : “Chi vuol far valere un diritto in giudizio deve provare i fatti che ne costituiscono il fondamento. Chi eccepisce l’inefficacia di tali fatti ovvero eccepisce che il diritto si è modificato o estinto deve provare i fatti su cui l’eccezione si fonda.”
I fatti che costituiscono il fondamento dell’azione che esperisce il compratore sono i vizi. Sul compratore, pertanto, incombe l’onere della prova dell’esistenza del vizio.
Questo criterio, inoltre, soddisfa anche l’altro principio talvolta usato dalla giurisprudenza e noto come “principio di vicinanza della prova”. Non vi è dubbio che, ottenuta la disponibilità della cosa, sarà il compratore ad essere più vicino al fatto costitutivo dell’azione, ossia l’esistenza del difetto.
Dopo aver ulteriormente analizzato il caso dell’appalto e della locazione, la Corte conclude che “il quadro che complessivamente emerge da tali convergenti pronunce appare dunque nel senso che, ove venga in questione la esistenza di vizi di una cosa consegnata da una parte ad un’altra in base ad un titolo contrattuale, il principio di vicinanza della prova induce a porre l’onere della prova dei vizi stessi a carico della parte che, avendo accettato la consegna della cosa, ne abbia la materiale disponibilità.”
Peraltro, idonea soluzione è stata adottata anche in ambito europeo con la Direttiva 1999/44/CE e relativa alla vendita dei beni di consumo. Spetta, infatti, al consumatore la prova dell’esistenza del difetto nel bene acquistato.
Le Sezioni Unite concludono, infine, la loro lunga e puntuale disamina enunciando il seguente principio di diritto: “In materia di garanzia per i vizi della cosa venduta di cui all’art. 1490 c.c., il compratore che esercita le azioni di risoluzione del contratto o di riduzione del prezzo di cui all’art. 1492 c.c. è gravato dell’onere di offrire la prova dell’esistenza dei vizi.”